Beijing, diario di viaggio

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Una gigantesca bolla inesplosa

Un mondo senza Instagram esiste, ed è la Cina.

È anche un mondo senza Facebook, né YouTube, né tantomeno Google.

Non che in Cina non ci siano i social network: i cinesi hanno i loro canali e i loro influencer in quella che a tutti gli effetti è una gigantesca bolla chiusa e ancora inesplosa, che conta oltre un miliardo e trecento milioni di persone registrate all’anagrafe nel 2019.

Sottolineare che il numero si riferisce ai cittadini regolarmente registrati non è secondario, perché le politiche di pianificazione familiare messe in atto dal governo cinese per molti anni (e ancora non del tutto abbandonate) hanno portato a molte nascite “in nero”.

Mandarino vs inglese

La lingua ufficiale in Cina è il mandarino, dell’inglese ci sono poche tracce.

Anche in una metropoli come Pechino – Beijing, capitale del Paese – a parlarlo sono un’esigua minoranza di persone, perlopiù millenials: gli stessi che con buona volontà danno indicazioni ai turisti per strada, osservandoli con curiosità; gli stessi che guardano con sempre maggiore interesse verso tutto ciò che sta a Occidente, pronti a varcarne la soglia non appena i vincoli che ancora fanno della Cina un mondo chiuso andranno cadendo – un momento che si avvicina sempre di più.

Traffico, caos e contrasti

Beijing è un brulicare di auto e scooter (in grandissima parte mezzi elettrici), caos e contrasti, rosso e grigio, tanto smog (anche se molto meno rispetto ad anni passati, grazie all’impegno dell’amministrazione e a un clima più favorevole), grattacieli e case basse, storia millenaria e futuro prossimo.

A Pechino vivono 24 milioni di esseri umani.

È il centro politico della Cina, dove gli occidentali sono l’eccezione.

La modernità che si trova nella più internazionale Shanghai a Pechino è ancora qualche passo indietro.

Gli hutong di Pechino, l’anima antica della città

Per trovare l’autenticità della vita a Beijing bisogna andare negli hutong – i quartieri antichi che si estendono intorno alla Città Proibita –, dove le tradizionali costruzioni basse resistono e persistono (ancora per quanto?) di fronte all’avanzata dei grattacieli che modificano ogni giorno un po’ di più lo skyline metropolitano.

Negli hutong ci si perde, tra case a un solo piano e corti private, banchetti di street food e botteghe di artigianato, stando sempre attenti a non farsi investire da uno degli scooter elettrici che sfrecciano silenziosamente per ogni via o vicolo di questa megalopoli sempre più intrisa di modernità.

Per ritrovare la retta via basterà chiedere aiuto a qualche biondo in giacca e cravatta allentata – forse un diplomatico in libera uscita: ne troverete certamente uno che si muove con la sicurezza di chi bazzica spesso il luogo, di sicuro con una meta precisa in testa.

Negli hutong di Beijing

Gli hutong a Pechino
Passeggiando negli hutong di Pechino

Piazza Tienanmen, simbolo politico della Cina

Il simbolo politico non solo di Pechino ma dell’intera Cina è Piazza Tienanmen, nel distretto di Dongcheng, che non colpisce per bellezza bensì per un’intensità che viene dalla storia, dagli accadimenti che l’hanno attraversata: impossibile non ricordare le proteste per la democrazia del 1989, represse nel sangue in una notte di luglio.

Emblema ne fu quel ‘rivoltoso sconosciuto’ che, solo e disarmato, si frappose ai carri armati: non riuscì a fermare la rivolta, ma fu immortalato in uno scatto rimasto leggenda.

Piazza e Porta Tienanmen
Vista su Porta Tienanmen

Su questa piazza immensa – una delle più grandi al mondo – si affacciano vari edifici simbolo del potere dello Stato, dal Parlamento cinese al mausoleo di Mao Tse-tung, ma soprattutto sul lato nord si trova la porta rossa che dà il nome alla piazza, ovvero Porta Tien’anmen (Porta della Pace Celeste), sovrastata dalla bandiera cinese e sulla cui facciata campeggia un grande ritratto di Mao.

Questa porta rappresenta l’ingresso alla Città Proibita di Pechino, complesso architettonico completamente in legno, completato nel 1421, che fu residenza degli imperatori delle dinastie Ming e Qing, fulcro politico del Paese nel corso della sua storia.

La Città Proibita

Estesa su 32 ettari di terreno, con i tipici edifici bassi nelle tonalità del porpora, la Città è forse la prima cosa da vedere a Pechino, non a caso è visitata ogni giorno dell’anno da centinaia di migliaia di persone, curiose di esplorare quello che fu il set del film  L’ultimo imperatore e con molta probabilità richiamate dal fascino dell’aggettivo ‘proibita’, dovuto al fatto che la presenza al suo interno era privilegio esclusivo dell’imperatore, dei suoi familiari e delle sue moltissime concubine.

Percorrendo in lungo e in largo l’area della Città Proibita – ahimè tra orde di turisti –  dietro a una guida dagli occhi a mandorla che sorseggia tè al gelsomino dal suo thermos – ci si incanta e un po’ si inorridisce nell’apprendere le storie degli intrighi, delle efferatezze di corte e della rivalità spietata tra le concubine dell’imperatore, la cui fine era comunque per tutte la stessa: sepolte vive assieme a lui, al momento della sua morte.

Panoramica sulla Città Proibita
Panoramica sulla Città Proibita
La città proibita Pechino
Uno degli edifici della Città Proibita La città proibita Beijing

Bambini in visita alla Città ProibitaLa città proibita Beijing

La città proibita Beijing
Dettagli degli edifici della Città Proibita

Passato, presente e futuro

A differenza della più moderna Shanghai, dove vecchio e nuovo trovano una linea di separazione netta nel Bund, il viale lungo fiume che divide gli antichi edifici liberty dai grattacieli di Pudong, sull’altra sponda – a Pechino la demarcazione temporale non è netta: passato, presente e futuro tendono ad amalgamarsi in un insieme indistinto, dove è lo smog a fare da trait d’union.

Se vogliamo però cercare il punto focale della metamorfosi di Beijing in metropoli internazionale e proiettata al futuro bisogna andare a Chaoyang, il quartiere diplomatico e finanziario della città, una manciata di km a est di piazza Tienanmen.

I grattacieli di Pechino si trovano qua.

Beijing Downtown: Chaoyang

Il Central Business District di Chaoyang – che ha il suo fulcro nella zona di Guomao – ospita grattacieli dalle altezze vertiginose e dalle forme improbabili, come la sede della China Central Television, a nord-est della stazione di Guomao, opera dell’olandese Office for Metropolitan Architecture di Rem Koolhas: l’edificio è soprannominato “le mutande di vetro” per la sua forma con due L rovesciate unite in alto che richiama – con un po’ di fantasia – un paio di boxer.

L’onnipresenza del passato si percepisce nel soprannome che i pechinesi hanno subito dato alla CITIC Tower, ovvero “China Zun”, in riferimento a un tradizionale vaso cinese usato per il vino. Questa torre, la cui costruzione è stata ultimata nel 2018, con i suoi 528 metri ha scalzato dal podio di edificio più alto della città la Torre 3 del China World Trade Center, che con un’altezza di 330 metri è stata a lungo l’edificio più alto di Pechino.

Tra gli altri grattacieli spiccano il Beijing TV Center e non molto lontano il Wangjing Soho, che con la sua estetica curvilinea è facilmente riconducibile alla mano di Zaha Hadid.

A Chaoyang sorge anche il parco olimpico costruito per i giochi estivi del 2008, con lo stadio nazionale dalla forma a nido d’uccello, da vedere di notte – illuminato – per apprezzarlo al meglio.

Chaoyang Park è il polmone verde della città, mentre il vicino e più piccolo Parco Ritan (Parco dell’Altare del Sole) è il parco più antico (risale al 1530 circa), dove l’imperatore offriva sacrifici al dio sole. In questo luogo l’incontro tra passato e presente diventa tangibile quando gruppi di persone la mattina praticano il tai ji quan – meditazione in movimento -, mentre altri si affrettano verso gli uffici di Downtown.

Non molto lontano, commercio e vita notturna pulsano dietro le vetrate policrome del Taikoo Li Sanlitun, uno dei luoghi più vivaci e cosmopoliti di Beijing, popolato soprattutto da giovani – cinesi e non – e studenti universitari.

Factory 798, il distretto artistico di Pechino

A Chaoyang si trova anche il distretto artistico di Dashanzi – il pensiero va a Soho o al Village di New York. Qui ha sede la Factory 798, nata per iniziativa di artisti indipendenti cinesi tra la seconda metà degli anni Novanta e i primi Duemila – una vecchia fabbrica riconvertita che fa da contenitore a gallerie, mostre, murales, concept store e locali. Oggi la zona è diventata talmente famosa da costringere molti artisti ad andare a sistemarsi altrove, a causa di affitti sempre più alti. Resta però sempre il fulcro dell’arte contemporanea a Beijing e ogni anno ospita il Dashanzi (798) International Art Festival. Le avanguardie artistiche in città partono da qui.

Murales 798 District Beijing
Murales al 798 District

The Great Wall of China

Infine, poi, c’è lei: la Grande Muraglia Cinese, una delle sette meraviglie del mondo moderno. Il tratto più vicino a Pechino della Grande Muraglia è quello di Badaling, 70 km a nord ovest dalla città, raggiungibile in circa un’ora e mezzo di auto.

Grande Muraglia Cinese
Vista sulla Grande Muraglia Cinese
Grande Muraglia Cinese Badaling
Vista su un bastione della Grande Muraglia
Grande Muraglia Cinese
Vista sulla Muraglia dall’alto del bastione

La Muraglia è fatta di bastioni costruiti già a partire dal VII secolo a.C., che furono poi unificati nel corso di varie dinastie e collegati tramite gradini: 6400 km circa che dal Mar Giallo, a est, si snodano tra porte e torri di guardia fino al Deserto del Gobi.

Tra turisti e folate di vento, mentre ci si inerpica sui gradini della Muraglia è impossibile non pensare ancora all’anno 1989, alla performance The Lovers di Marina Abramovic e Ulay, partner d’arte e di vita, che decisero di dirsi addio in modo plateale percorrendo ciascuno metà muraglia, partendo da lati opposti e incontrandosi in mezzo per darsi l’ultimo saluto prima di prendere strade artistiche ed esistenziali separate.

Una scelta estrema, come estrema è la Cina.

 

 

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